L’area dedicata all’età evolutiva di Idealmedica in partnership con medé – Infanzia Adolescenza e Famiglia – vuole essere un punto di riferimento per le famiglie del territorio in un’ottica di integrazione multidisciplinare e una presa in carico del paziente e delle sue relazioni, offrendo una rete di alta specializzazione in grado di rispondere non solo alle esigenze del singolo e della famiglia, ma anche delle istituzioni educative .
Presso Idealmedica è quindi da ora possibile usufruire di servizi per la diagnosi, la terapia e la riabilitazione specifici per l’età evolutiva nelle aree di:
- Psicologia clinica
- Psicoterapia psicodinamica, individuale e della famiglia
- Supporto e preparazione alla genitorialità
- Neuropsicologia
- Logopedia
- Neuropsichiatria Infantile
Emozioni e Apprendimento
I primi apprendimenti
La capacità di apprendere non inizia con l’ingresso a scuola, ma ben prima. Il bambino nel primo anno apprende più cose che non nel resto della vita: parlare, camminare, mangiare da solo.
I primi apprendimenti sono strettamente legati al corpo o perché avvengono nel corpo o tramite il corpo. Essi possono realizzarsi perché c’è una relazione con un adulto che:
- dà significato alle sensazioni,
- protegge e modula gli eccessi di stimolazione,
- promuove il benessere e il piacere fisico
- trasforma in pensieri e parole ciò che il bambino vive.
Da subito il gioco viene introdotto nella relazione mamma e bambino nelle attività quotidiane. E gli apprendimenti avvengono attraverso il gioco, in un’atmosfera di piacere condiviso. Avvengono senza uno sforzo deliberato, in maniera implicita. Sono tuttavia fondamentali e la base per i successivi apprendimenti, che invece richiederanno energie e sforzi espliciti.
Nel gioco il bambino impara le qualità degli oggetti: freddo-caldo, duro-morbido, chiuso-aperto. Inoltre affina le sue capacità di manipolazione e comincia a differenziare.
Poi il gioco diventa più articolato e il bambino deve confrontarsi con i suoi impulsi e via via imparare a modularli. Un esempio è il gioco della torre. All’inizio, di fronte alla torre costruita da mamma o papà, si divertirà a distruggerla e sentire il rumore dei pezzi che si spargono sul pavimento. Poi aspetterà che venga ricostruita per poterla distruggere ancora. Più avanti comincerà a costruirla e in questo modo maneggerà senza saperlo le relazioni spaziali.
Pian piano si passa ad un gioco che rappresenta le fantasie, le paure, in generale le emozioni, i desideri e gli interrogativi del bambino. Un esempio può essere il gioco del cucù. Solitamente viene introdotto anche molto precocemente, ma assume significati più articolati via via che il bambino cresce, fino a rappresentare le vicende della separazione e il loro superamento. Ci si può separare con la sicurezza di potersi poi ritrovare: esperienza fondamentale quando il bambino deve inserirsi in ambienti nuovi. Impara infatti che si può salutare e lasciare i genitori sulla porta della scuola materna solo se si è sicuri di poterli poi ritrovare.
Per questo per un bambino il gioco è una attività si piacevole, ma anche seria. Perché è attraverso il gioco che scopre il mondo esterno ed interno, i suoi limiti e le sue capacità e mette in scena i suoi interrogativi e le sue fantasie.
“Se il bambino gioca, non importa se presenta uno o due sintomi; se un bambino riesce a divertirsi giocando, sia da solo che con gli altri, non c’è nessun problema grave.” (Winnicott, Il bambino normale, 1946)
L’incapacità di giocare è sempre segnale di un disagio evolutivo che va compreso. “gioca da solo” “ non gioca come gli altri”, “a lui non interessano i giochi che piacciono agli altri bambini”, sono elementi che devono accendere un campanello, di allarme.
L’ingresso a scuola
Il bambino a scuola incontra nuove sfide ed occasioni per lo sviluppo delle sue potenzialità, della sua intelligenza e delle relazioni con gli adulti e i pari.
Questo nuova esperienza richiede l’armonizzazione tra regola e creatività, gioco e lavoro, tra azione e pensiero.
Ogni bambino che inizia la scuola, porta nel suo “zainetto” le esperienze personali vissute fino a quel momento nel proprio ambiente familiare. Tali esperienze se caratterizzate perlopiù da stabilità e sicurezza permetteranno al bambino di riporre fiducia sugli adulti ,“ i maestri” che incontrerà nel suo nuovo percorso di crescita
È come se pensasse: “di mamma e papà mi posso fidare: mi fanno sentire accudito, protetto, compreso. Sono sicuro che in questo posto nuovo mi lasciano nelle mani di persone fidate “.
Anche i genitori, dal canto loro, è importante che abbiano fiducia sia nella scuola scelta, sia nelle risorse che il figlio ha per affrontare questa nuova realtà.
Con l’ingresso alla scuola primaria gli apprendimenti non sono più collegati principalmente al gioco e al corpo. Ora, per poter apprendere, occorre fare uno sforzo volontario. Imparare le lettere dell’alfabeto, imparare a leggere, a scrivere e a far di conto, richiede degli sforzi espliciti. Il bambino deve riunire tutte le sue energie e finalizzarle al compito, imparando pian piano a rinunciare ad altri piaceri più immediati dettati dal gioco libero.
A scuola quindi il bambino scopre che la creatività e la fantasia a volte hanno bisogno della diligenza e dell’ordine. La scuola obbliga anche alla riduzione dell’attività motoria. Il bambino conquista progressivamente la capacità di mantenere un’attenzione prolungata e il corpo fermo. Si confronta con l’attesa e con ritmi temporali scanditi, stretti e obbligati. Questo comporta sicuramente grosse fatiche.
Imparare però offre al bambino anche il piacere della scoperta e della conquista. Acquisisce strumenti che lo fanno sentire “grande”, saper leggere e scrivere è un po’ come far parte del mondo degli adulti!
La grandezza di questi eventi, abbinate alle responsabilità dell’apprendere, possono talvolta spaventare. Desiderio e paura, desiderio di progredire e bisogno di regredire sono emozioni che accompagnano il bambino nel suo ingresso a scuola. Se però le paure diventano troppo grandi, imparare può diventare difficile. Angosce e dispiaceri ripetuti “chiudono” alla conoscenza e a volte la rendono impossibile.
L’ingresso nella scuola implica cambiamenti anche nella relazione con l’altro. A scuola gli apprendimenti avvengono nel gruppo: la classe è un posto dove si è “tutti diversi ma tutti uguali” e l’esclusività nella relazione con l’adulto lascia il posto ad una dinamica più complessa
Ogni bambino, all’interno del gruppo classe, mette in gioco aspetti di sé e i compagni sono specchio e metro di confronto: Alcuni riflettono aspetti di sé conosciuti, altri invece parti di sé non ancora esplorate o temute.
Insomma il poter utilizzare al meglio le proprie capacità intellettive dipende anche dalla maturazione affettiva e relazionale.
La possibilità di sviluppare l’intelligenza e di poterne fare un uso armonico dipende da fattori genetici, ma sono cruciali tutti gli apporti e i contributi dati dalla relazione e dagli affetti. L’intelligenza non è una funzione a parte nella vita psichica, non si sviluppa in modo autonomo, è strettamente collegata alle vicende della socializzazione e dello sviluppo affettivo.
Possono esserci bambini che:
- sono ancora alle prese con le vicende della separazione,
- presentano difficoltà a controllare gli impulsi e a tollerare le frustrazioni,
- faticano a mantenere l’attenzione su un compito o ad accettare regole e limiti
- faticano ad autoregolarsi.
Disturbi dell’area cognitiva e disturbi dell’apprendimento possono avere ripercussioni sull’adattamento affettivo e relazionale. Altrettanto, difficoltà di tipo emotivo posso avere ricadute sulla qualità delle prestazioni scolastiche. Per questo la valutazione deve considerare tutti questi aspetti nell’ottica di una presa in carico complessiva dell’individuo.
Preadolescenza: chi abita il mio corpo?
“Io non lo so chi sono e mi spaventa scoprirlo, guardo il mio volto allo specchio ma non saprei disegnarlo” (Nesli, La fine)
Quando parliamo di preadolescenza, è difficile definire precisi limiti temporali. In genere, ci riferiamo al periodo compreso tra la fine delle scuole elementari (10-11 anni) e la fine delle scuole medie (13-14 anni).
In quel periodo aumentano le aspettative e le responsabilità: i genitori diventano meno accudenti e i ragazzi passano dalla scuola dei “piccoli” alla scuola dei “grandi”, dai maestri ai professori, dal “tu” al “lei”. A questi cambiamenti che si realizzano nel mondo esterno e nell’immagine sociale corrispondono tanti altri cambiamenti che avvengono nel mondo interno del preadolescente: il pensiero e gli affetti cambiano, ma cambia anche il corpo e l’immagine che si ha del proprio corpo. Dunque, la preadolescenza è un periodo di grande crescita, ma anche di grande confusione. Nulla è stabile e abbondano incertezze circa chi si è e chi si vuole diventare: in questo senso, la preadolescenza può essere pensata come il regno del “non so chi sono”.
Verso i 12-13 anni i ragazzi sentono di appartenere allo stesso tempo a “comunità” tra loro molto diverse e lontane: da un lato sono integrati in una certa misura nel mondo degli adulti, da un altro sono sempre più partecipi al mondo dei coetanei, da un altro ancora conservano un attaccamento al mondo dell’infanzia… e tutto questo si accompagna con uno specifico senso di solitudine dovuto al non sentirsi appartenere pienamente a nessuna di queste comunità (Meltzer, 1978).
È proprio nella preadolescenza che lo sviluppo del corpo e le capacità del pensiero sembrano seguire tempi e modi diversi. Il corpo, che fino a poco prima era sentito come una proprietà sicura e conosciuta, diventa un corpo strano e un po’ estraneo, con tutte le inquietudini suscitate da una trasformazione che sfugge al proprio controllo. Il corpo, infatti, cresce in modo autonomo e cambia seguendo dei ritmi biologici e delle direzioni che non possono essere conosciute in anticipo. In questo modo, i ragazzi si scoprono sempre meno padroni di ciò che accade in loro stessi: chi abita il mio corpo? Cosa sono queste spinte nuove che si agitano dentro di me? Come diventerò? In aggiunta, tutti questi cambiamenti avvengono in maniera disordinata, dando vita a sensazioni di goffaggine, scoordinazione, disarmonia, ma anche risvegliando emozioni intense: è facile in questo periodo “sentirsi brutti” e avere una certa nostalgia del “prima”, che apparteneva alla tranquillità dell’infanzia. Alla comparsa dei primi cambiamenti è come se i preadolescenti chiedessero di essere tenuti un po’ al riparo: “un tempo di tregua”. Infatti, il cambiamento del corpo, per quanto desiderato e fantasticato, nel momento in cui si realizza coglie di sorpresa. Anche i genitori spesso sono colti di sorpresa: molti non “riconoscono” più il proprio figlio, che da un giorno all’altro appare diverso, improvvisamente grande.
Alla comparsa dei primi cambiamenti è come se i preadolescenti chiedessero di essere tenuti un po’ al riparo: “un tempo di tregua”. Infatti, il cambiamento del corpo, per quanto desiderato e fantasticato, nel momento in cui si realizza coglie di sorpresa. Anche i genitori spesso sono colti di sorpresa: molti non “riconoscono” più il proprio figlio, che da un giorno all’altro appare diverso, improvvisamente grande.
La mente deve fare un grosso lavoro per stare al passo e integrare tutti i cambiamenti che avvengono nella dimensione corporea e che sono visibili non solo al proprio sguardo, ma anche allo sguardo esterno. I tempi di maturazione possono essere lunghi. Il corpo procede troppo veloce e coglie la mente impreparata (pensiamo ad esempio ad una pubertà anticipata, sempre più usuale negli ultimi anni). Sarà necessario un grande lavoro psichico per ricostruire un’immagine di sé che integri la dimensione del corpo con tutti i suoi aspetti di novità. Questo lavoro psichico via via consentirà ai preadolescenti di abitare il loro corpo e di sentirlo “proprio”.
Con la pubertà, la consapevolezza di possedere un corpo maschile o femminile acquista un significato molto più reale. I maschi devono fare i conti con cambiamenti corporei visibili: corpi che si allungano, il cambio della voce, la comparsa di peli e a volte di brufoli, lo sviluppo muscolare, la maturazione degli organi riproduttivi e sessuali, la polluzione, la masturbazione per poter arrivare a conquistare una corporatura più “da papà”. Anche le femmine devono fare i conti con cambiamenti più visibili (seno, menarca, comparsa dei peli) che si aggiungono ad aspetti più nascosti (organi riproduttivi); il corpo femminile implica nuove responsabilità e mette le ragazze sullo stesso piano della mamma: possono generare!
Sia i maschi che le femmine sono impegnati nella definizione dell’identità di genere e nell’acquisizione di un proprio linguaggio di genere. Mentre da un lato, nelle femmine si nota un certo pudore (tenere nascosto il ciclo mestruale o paura che possa essere intuito o scoperto dagli altri), dall’altro si nota spesso un’esibizione del corpo o di parti del corpo attraverso abiti succinti e foto pubblicate nei social. Anche per i maschi la confidenza con la propria crescita è faticosa. I ragazzi sembrano molto più orientati all’esplorazione, a spingere il corpo nell’avventura, a lanciare delle sfide a coetanei e adulti, con una minore predisposizione al confronto e alla comunicazione di vissuti. Tuttavia, se un tempo si distingueva in modo più definito il mondo maschile da quello femminile per modalità di approcciarsi alla crescita, attualmente queste differenze vengono a sfumare.
Maschi e femmine spesso condividono un linguaggio e un registro di pericolosità, che azzera le differenze. Come per esempio, l’utilizzo dei social network, l’alcol, il fumo, le trasgressioni… Tutto questo comunque potrebbe far parte di un lavoro temporaneo di sperimentazione e messa a punto di un proprio modello di femminilità e mascolinità, ma potrebbe anche nascondere una richiesta di aiuto. Ci riferiamo a quei casi in cui si rischia di rimanere intrappolati in manifestazioni rischiose e/o sviluppare delle vere e proprie patologie. Il difficile compito degli adulti (genitori, insegnanti, educatori) è quello di mantenere uno sguardo attento e non giudicante, per provare a capire quando un comportamento è funzionale alla crescita, e quando invece diventa pericoloso.